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Mi chiamo Marco Greco, ho 24 anni, e sono sopravvissuto all'impatto dell'asteroide Apophis avvenuto il 13 aprile 2036. Non so bene cosa sia accaduto, non dovrei essere vivo. Ho deciso di tenere un diario, aggiornato quotidianamente, per non uscire fuori di senno. Ho bisogno di mantenere la mente lucida, lo shock potrebbe farmi impazzire. Voglio capire cosa diavolo è successo!

Apophis: 17 aprile 2036, ore 19:37

È andato tutto storto, credevo di essere morto... invece sono ancora qui, vivo, e non so darmi alcuna spiegazione.

Sento la necessità di scrivere perché non mi è rimasto altro.
Stamane ho riaperto gli occhi, convinto che il peggio ormai fosse passato.

Credevo di essere morto, credevo che tutto ciò che avrei visto, da quel momento in avanti, avrebbe rappresentato la risposta al grande mistero chiamato "aldilà". La terra, per come la conoscevamo, non doveva più esistere secondo i calcoli degli scienziati, eppure sono qui.

Nel giugno di 32 anni fa, da un osservatorio della NASA in Arizona, per la prima volta venne avvistato Apophis (così ribattezzato dagli scienziati per chiarirne subito la pericolosità). Apòfi, difatti, è il nome di una divinità dell'Antico Egitto conosciuta per la sua capacità distruttrice. Sono al corrente di queste notizie grazie ai media che, negli ultimi anni, ci hanno letteralmente catechetizzati a riguardo. 

Il 13 aprile 2029, all'età di 16 anni, ebbi modo di comprendere meglio di cosa si trattasse. L'asteroide passò vicinissimo alla terra e fu visibile ad occhio nudo dall'intera umanità. Questo tetro spettacolo fu visibile dall'Italia solo per alcune ore. Dopo qualche giorno Apophis voltò le spalle alle terra, in direzione del sole. Ma il pericolo non era affatto scampato. La data che circolava da anni sulla sua eventuale collisione con la terra era piuttosto attendibile: 13 aprile 2036.

La Cina, gli USA e la Russia attivarono un programma spaziale d'emergenza per la costruzione di una sonda capace di alterare la traiettoria dell'asteroide. Mio padre mi confidò che questo genere di cose, secondo lui, risultavano efficaci solo negli studios hollywoodiani. Fu profetico.

Durante l'estate del 2034 le agenzie spaziali delle tre potenze interessate comunicarono all'umanità di aver fallito. La sonda a vele solari, posizionata in un'orbita retrograda rispetto al corpo celeste, colpì l'asteroide ma non riuscì a deviarne la traiettoria. Un frammento di Apophis, per via della collisione, si staccò dalla massa originale. Sfortunatamente la parte più corposa dell'oggetto era ancora diretta verso la terra. Ci vennero dati due anni di tempo per prepararci all'evento, consapevoli che nessuna forma di vita sarebbe sopravvissuta alla collisione.

Per tale motivo fu attivata, in Cina, una campagna pubblica a favore del suicidio. Chiunque lo avesse desiderato avrebbe potuto assumere gratuitamente un cocktail di benzodiazepine. All'inizio tutto ciò causò sommosse, scontri nelle piazze, violenze, rapine. Pian piano, però, subbentrò anche la rassegnazione e molte altre nazioni abbracciarono l'iniziativa cinese. La campagna, osteggiata dal Vaticano e da altre importanti religioni nel mondo, fece sempre più eco in tutto il pianeta. L'Italia fu uno degli ultimi paesi a prenderla in considerazione. Anche noi, in famiglia, ci riunimmo per discuterne. In breve tempo ci venne proposto "il kit"; un preparato monodose nominale distribuito gratuitamente nei presidi sanitari territoriali. 

Mancavano ormai poche settimane alla collisione e mio padre si mostrò, per la prima volta, a favore. Decidemmo di utilizzarlo, anche se mia madre non sembrò convinta fino in fondo. Sembrerà assurdo ma ci fu una corsa al rifornimento di questi kit, al pari dei generi alimentari a lunga scadenza. Addirittura ci fu chi tentò di speculare sulla tragedia cercando di vendere delle soluzioni "fai da te".

La collisione dell'asteroide era prevista alle ore 21.20 del 13 aprile 2036. In famiglia cercammo di onorare al meglio quell'ultimo giorno di vita, insieme. La tristezza però era contagiosa, non fu facile accettare quanto stesse per accaderci. Alle 18 ci guardammo dritti negli occhi, per l'ultima volta, e decidemmo di assumere il farmaco eutanasico.

Il resto lo potete immaginare.

Eppure, quattro giorni dopo, secondo l'orologio che ho al polso, mi sono risvegliato. Qualcosa nel mio kit non ha funzionato. Ho dato vita a questo diario perché non ho più nemmeno la forza di piangere. Scrivo all'interno della mia stanza; una parete mi separa dai corpi esanimi di mio padre, mia madre... mio nonno. Dopo lo shock iniziale ho deciso di coprirli con delle lenzuola, ma ho promesso a me stesso di non entrare più nel sala da pranzo. Ho iniziato a credere di essere all'inferno, non potrei immaginare quale altro posto peggiore possa esserci per me. Ho guardato il cielo, è scuro. Il sole è appena percepibile dietro la coltre grigia che lo nasconde. Il quartiere sembra affogato nel silenzio, non ho ancora avuto la forza, o il coraggio, di uscire dall'appartamento.

Mancano elettricità ed acqua corrente. Ho piazzato fuori, nel balcone, un piccolo accumulatore ad energia solare. Spero che possa caricarsi, lo lascerò lì fino a domattina. Stanotte proverò a dormire anche se ho il terrore negli occhi. Ho notato perdite ematiche dal naso, in fondo ritengo di non stare affatto bene. Non sono riuscito a mangiare nulla, sono certamente debole ma ritengo che sia meglio non porsi troppe domande. Mi basterebbe capire perché il pianeta non è collassato, perché mi batte ancora il cuore in petto.

Spengo la luce a led, quasi auspicando un effetto ritardato delle benzodiazepine.
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